Gli artisti e il mondo del lavoro: lo stato dell’arte
Informazioni sull'evento
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Partecipano
Daniele Abbado - Regista e direttore artistico
Giorgio Casati - Violoncellista, fondatore mdi ensemble
Marco Gambaro - Docente di Economia dei Media, Università degli Studi di Milano
Paolo Lazzati - Dottore commercialista
Giuseppe Ludovico - Docente di Diritto del Lavoro, Università degli Studi Di Milano
Orsola Razzolini - Docente di Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Milano
Anna Soru - Ricercatrice economica, Presidente ACTA Associazione dei Freelance
Antonio Taormina - Componente del Consiglio Superiore dello Spettacolo, Ministero della Cultura
Coordina
Marilena Pirrelli - Coordinatore scientifico del master in Economia e Management dell’Arte e dei Beni Culturali della 24Ore Business School
Il complesso rapporto degli artisti, e più generalmente dei lavoratori dell’Industria Culturale e Creativa, con la regolamentazione del proprio lavoro sembra giunto nel nostro Paese ad un punto di svolta.
Senza dubbio gli artisti attivi nel settore dello spettacolo dal vivo, e tanti lavoratori che appartengono alla composita categoria dei lavoratori culturali, con frequenza sono incorsi in una faticosa affermazione della propria professionalità, spesso poco riconosciuta, e per molte professioni la stabilizzazione contrattuale, la cui mancanza o inadeguatezza ha come conseguenza l’incongruità remunerativa, è per molti una chimera. Il contrasto tra lavoro altamente qualificato da un lato e il frequente inquadramento in forme di lavoro precario è in genere stridente.
Un contraltare a questo stato di fatto si può individuare nei non adeguati investimenti (per le motivazioni più varie) a favore del sistema culturale che ne hanno profondamente svilito il precipuo ruolo civico. E di certo responsabilità vanno individuate anche nelle decisioni gestionali che ne conseguono. Non si deve inoltre dimenticare che i lavoratori culturali non afferiscono solamente alle grandi istituzioni, ma operano diffusamente sul territorio spesso in realtà piccole dove la non adeguatezza di investimenti diventa assenza di investimenti tout court.
Un cambio di paradigma che, valorizzando la cultura come bene comune, riconoscesse dignità al settore e questa categoria di lavoratori non poteva aspettare oltre.
La pandemia in corso ha senza dubbio esacerbato la situazione: perdita del lavoro, tutele e sostegni praticamente nulli, abbandono dell’attività artistica (il confronto dei dati INPS, tra il 2019 e il 2021 parla di meno 13%) per trovare opportunità in altri ambiti lavorativi a condizioni minime… ma ha anche aiutato ad aumentare una consapevolezza nei lavoratori (i quali però non hanno mai sentito l’esigenza di dotarsi di un organismo forte di rappresentanza, basti pensare con non esiste un albo o un ordine professionale), nelle organizzazioni e ha riportato lo spettacolo dal vivo nel dibattito politico.
E accanto alla pandemia un punto di vista più ampio ha certamente indirizzato negli anni verso l’elaborazione di normative adeguate: la realizzazione del progetto europeo vede infatti la cultura rivestire un ruolo strategico, il che impone i necessari allineamenti negli Stati membri.
Le Commissioni permanenti Cultura e Lavoro del nostro Parlamento hanno congiuntamente lavorato dal 2019 ad un’organica riforma del settore. Si è lavorato ad uno Statuto dei lavori nel settore creativo, dello spettacolo e delle arti performative con lo scopo di ridare dignità e tutelare il lavoro culturale in modo organico per lavoratori dipendenti e autonomi. Si è anche considerato uno degli aspetti più peculiari del lavoro artistico, quello dell’intermittenza: lo studio, la ricerca, il tempo di affinamento della propria arte dovrà essere considerato come parte della vita professionale grazie ad uno strumento specifico, il reddito di discontinuità.
I lavoratori sono individuati (tutti, dipendenti ed autonomi) tramite la gestione speciale INPS del Fondo Pensioni Lavoratori dello Spettacolo per le tutele previdenziali (malattia, infortunio, maternità, genitorialità, indennità di disoccupazione ALAS, riorganizzazione sistema pensionistico) e le retribuzioni e i compensi dovranno fare riferimento ai contratti collettivi nazionali e non si potranno discostare dai minimi salariali.
Per inquadrare il problema ricordiamo che nel 2019 l’Osservatorio INPS enumerava nel settore culturale 1 milione di occupati di cui 327.000 lavoratori dello spettacolo (1/3 autonomi, 2/3 subordinati), con in media 100 giornate lavorative e una retribuzione media di 10.000 euro/annui (gender gap di 2000 euro) con 59 miliardi di valore aggiunto (4% del Pil). Non è difficile comprendere che stiamo parlando di molti working poors.
Aspetti legislativi, contrattuali, previdenziali, artistici, gestione manageriale e reperimento fondi, con le loro interconnessioni, tutti concorrono alla definizione dei rapporti di lavoro artistico e saranno oggetto del nostro incontro.