TRA CONCETTO E IMMAGINE: IL LIBRO D'ARTE con Bruno Mangiaterra
Informazioni sull'evento
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Un evento in collaborazione con la Società Filosofica Italiana Ancona.
Elegia delle pietre, di Bruno Mangiaterra.
Pietra sta per terra, che vuol dire vivere nel mondo, e delle pietre l’uomo si è servito fin dall’antichità sia per accendere il fuoco che per cacciare, e poi per costruire. La cultura nelle sue stratificazioni millenarie ha portato i popoli a vivere le pietre, e le pietre sono oggi - da quelle naturali a quelle lavorate - il bagaglio e l’espressione della cultura e del vivere. E il rapporto con il mondo e l’ancestralità misurata e cruda del fare e dell’operare in arte di Bruno Mangiaterra, coincide da sempre con la grande stagione del concettuale,vecchio e nuovo, ispirata via via da un’idea del primitivo, dell’originario, del naturale, del vivere, dell’esistenza cadenzata dal tempo; un qualcosa che va oltre la sua valenza estetica e culturale all’interno di quella linea moderna di ricerca elaborata inizialmente da Picasso e Brancusi, che passa per certe declinazioni di Land Art e Arte Povera, spingendosi poi fino a Long e Kapoor. La ricerca di Bruno Mangiaterra trasuda di un’umanità profonda che risiede in quell’aspetto di selezione di icone naturali, l’acqua, le canne, gli animali, le pietre, ecc. che ne fa un particolare oggetto di poesia radicale frutto di un esercizio visionario a cui l’artista si volge pur radicandosi al mondo e alla realtà. Mangiaterra lascia vivere i luoghi del mondo, la natura, fin troppo reale perché spoglia e disadorna, essenziale come le parti che la compongono, ad iniziare dalle pietre. Anche le pietre hanno un volto e un’anima; parlano come le fece parlare nelle sue sculture del sardo Pinuccio Sciola intervistato da Gillo Dorfles.
Attraverso questo libro d’artista che lascia leggere l’icona-pietra, cantata anche da una serie di poeti italiani, per lo più marchigiani: Francesco Scarabicchi racconta il mondo, il tempo che l’attraversa, le vie strette e dissestate come metafora di un vivere duro (…dalla porta del tempo passa il mondo/dai suoi sentieri ignoti, dalle strette/ vie…); Umberto Piersanti coglie nel paesaggio dei monti Sibillini terra e cielo ( …dalle nubi accese/ sopra i sassi…); Eugenio De Signoribus lascia vivere nei versi la vita e il suo tragitto tortuoso (…uscendo la strada era già invasa/di figure sdoppiate e pietre scure/…); Gianni D’Elia propone versi che raccontano la voce delle pietre (...ma stesi con l’orecchio sulle pietra…”); tutti questi versi poi mi hanno riportato al sentimento di bellezza profondissima del libro di Carlo Levi “Le parole sono pietre”, libro folgorante, per l’arte di Carlo Levi nel descrivere la terra e gli uomini e di riflettere se stesso in quello specchio di immagini, vi ritrovi il suo sguardo sulla terra di Sicilia, aspra e dolce, crudele e umana, bellissima e orrenda, come le persone che incontra. E come per le parole e la poesia, per l’arte visiva si arriva al paradosso di “una “forma significante” che non deve, a nessun costo, significare qualcosa; oppure a un significato che non significa “sensibilmente”, i significati dopotutto sono invisibili. Col che viene meno la forma sensibile che sola fa dell’opera d’arte un’opera d’arte. Cosa abbia voluto dire Mangiaterra con questo “canto alla pietra” è facilmente individuabile e significante, con la fine della pittura e la sua trasformazione in arte “e nient’altro”; e, anche quando l’artista ritornerà a presentarci “le montagne e le acque”, la pietra in questo caso, che vede e parla sempre a suo modo, il prodotto sarà arte solo in virtù di teoria o di “interpretazione”.
Affermatosi l’anti-form e ritenendo liquidato e liquidabile il “morfologico”, l’estetica, la filosofia dell’arte, interpreta il dopo Duchamp come il raggiungimento dell’autoconsapevolezza filosofica dell’arte, e, dopo la “morte dell’arte”, “il fare arte è in entrambi i sensi del termine il proprio fine: il fine dell’arte è la fine dell’arte”.
L’artista Bruno Mangiaterra, da parte sua, convinto che “tutta l’arte (dopo Duchamp) è concettuale (in natura)”, e che dopo il Tractatus [di Wittngestein] in filosofia “non c’è più niente da dire”, si autoproclama “artista filosofo”, decreta “la fine della filosofia e l’inizio dell’arte”: l’arte dopo la filosofia. Come che sia, si approda in un luogo inospitale per la forma artistica. e se si capiscono le ragioni dell’iconofobia nella “civiltà dell’immagine”, non si può sottovalutare il pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: l’immaginazione. Ora questa cartella libro d’artista di Bruno Mangiaterra che ha nella pietra l’icona più affascinante, vive il suo significato nell’aver affidato al gesto e alla corporalità, la possibilità di ristabilire una relazione piena con il contesto naturale, ricontestualizzando frammenti di rocce e pietre di varia provenienza, laddove pietra sta ad offrire la valenza del limite, dello spazio, dell’esistenza. E’ una concettualità primordiale articolata e complessa che rimanda alle origini dell’uomo, alle caratteristiche universali della memoria collettiva, alla riscoperta di paradigmi e archetipi presenti all’interno della storia evolutiva dell’uomo. E se Mangiaterra oggi mette sull’altare la pietra assunta nella sua peculiarità originaria che ricorda in taluni casi i “pebble drawings”, ovvero in quei disegni primordiali eseguiti sul suolo con ciottoli allineati, rimandano al principio creativo attraverso il quale si ha coscienza dei meccanismi che sovrintendono i processi fondamentali del nostro essere, simbolizzare e sintetizzare, sicchè l’arte non è rappresentazione o sublimazione, ma dato essenziale dell’esperienza personale, relazionale e, soprattutto, metafora della vita.
Carlo Franza- Milano, 7 settembre 2020
L'evento è gratuito, ma a posti limitati.
La partecipazione è possibile prenotando tramite eventbrite ed è richiesto super green pass e mascherina FFP2 per una maggiore sicurezza del pubblico. Aiutiamoci con poco a mantenere viva la possibilità di continuare a realizzare eventi anche in luoghi al chiuso.
Grazie di cuore.