‘MOI. DEDICATO A CAMILLE CLAUDEL’ IL RACCONTO DI UN’ARTISTA STRAORDINARIA
Informazioni sull'evento
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Sabato 10 ottobre alle ore 21.00, Teatro di Dioniso riprende la programmazione di Parole d’artista allo Spazio Kor, come anteprima della stagione Public 2020/21, con MOI. Dedicato a Camille Claudel.
Lo spettacolo sarà seguito da un incontro con l’autrice Chiara Pasetti, l’interprete Lisa Galantini e il regista Alberto Giusta.
Parole d’artista è la rassegna realizzata da Teatro di Dioniso in collaborazione con Città di Asti, Spazio Kor, Teatro degli Acerbi e Moncirco, con maggiore sostenitore la Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del Progetto PATRIC
Programmato per l’aprile scorso (poi sospeso causa covid) all’interno della rassegna curata dal Teatro di Dioniso Parole d’Artista/Movimenti d’Arte Diffusi, MOI vede in scena Lisa Galantini nei panni della grande artista francese. Il testo è di Chiara Pasetti, la regia di Alberto Giusta. Produzione Associazione culturale “Le Rêve et la vie” in collaborazione con la Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse di Genova.
Personaggio straordinario, Camille Claudel, è stata una scultrice di grandissimo valore; nell’immaginario collettivo però il suo nome vive raramente di vita propria ma è invece spesso unito a quello di Auguste Rodin, scultore famosissimo, di cui Camille fu collaboratrice e la grande passione di una vita. Fu una costante dell’esistenza di Camille l’essere accostata alla figura di un uomo, prima di suo fratello Paul Claudel, poeta e scrittore, poi di Rodin, ma Camille non aveva bisogno di nessuna figura maschile per scintillare: sin da giovanissima fu attratta dalla scultura e si cimentò con l’argilla, modellandola e producendo piccole sculture, molto apprezzate dal padre, che la sostenne per tutta la vita in questa sua inclinazione artistica che Camille trasformò in un vero e proprio mestiere. Dotata di una capacità non comune di modellazione e di una forza e caparbietà notevoli, intraprese la sua carriera di scultrice e, grazie al talento di cui era ricca, riuscì ad affermarsi ritagliandosi uno spazio d’azione inedito e non piccolo nell’arte. Dopo che il suo valore artistico venne ammesso pubblicamente, Camille si trovò a dover fronteggiare il periodo peggiore della sua vita: a causa di un senso di abbandono e solitudine che l’accompagnò per tutta la vita -e in cui la madre ebbe gran parte di colpa- e alla delusione per l’abbandono di Rodin, venne fatta internare in manicomio dove visse per circa trent’anni e dove trovò la morte. Né il fratello, né Rodin, né, tantomeno, la madre, risposero mai alle lettere accorate in cui Camille proclamava la sua sanità mentale, chiedeva aiuto e scongiurava di essere fatta uscire dal manicomio: non le venne mai perdonata, non solo dalla propria famiglia e dallo scultore, ma dall’intera società, l’autonomia, il coraggio, la forza del suo essere artista senza bisogno di protezioni.