L’immersione è un fenomeno ancestrale, che rimanda alla situazione di un corpo sottratto all’impalpabilità dell’aria e immesso in una dimensione differente, liquida. La percezione sensoriale dell’intorno allora si modifica, la frontiera fra corpo e ambiente, che era latente, diviene manifesta, e si comincia a sentire il confine fra sé stessi e l’altro da sé. Al tempo stesso, la liquidità del nuovo contesto libera il corpo di una parte del suo peso, dal giogo della gravità. Il corpo fluttua, e nell’immersione si avverte come un principio di fusione con il tutto circostante. Ritorno a un’origine acquatica o amniotica, l’immergersi sollecita da tempi remoti l’immaginazione delle religioni. Centrale in alcuni riti d’iniziazione o di purificazione, esso diventa anche metafora corporea della fusione con la trascendenza. Ma l’immersione si riferisce, nella sua lessicologia più antica, anche alle esperienze quotidiane del distacco del corpo dal suo contesto abituale, del suo fondersi in ambienti ove cambiano le leggi del movimento, dei sensi e della percezione: si può essere immersi in un sonno profondo, nei propri sogni, nei propri pensieri, in un’allucinazione. Da tempi altrettanto immemori, le arti cercano di catturare e guidare questo distacco del corpo e questa sua reinvenzione liquida, puntando a una fusione del soggetto con l’illusione che gli viene proposta e raccontata. Tecniche e dispositivi immersivi occorrono lungo la storia delle religioni e delle arti, spesso nell’intreccio delle une e delle altre, ricercando un punto ipnotico di fusione dell’io con il tutto, dei sensi con il sentito. Oggi, quando si dice “immersione”, si pensa immediatamente alle realtà virtuali. L’immersività, però, è cosa antica, e affonda le sue radici anche nel senso delle culture religiose. Le nuove tecnologie del metaverso danno nuova veste tecnica a questo sogno di trasformazione liquida dell’intorno, di sfaldamento del confine fra sé e mondo, di leggerezza del corpo, ma al contempo risvegliano antichi percorsi di senso. Vi è, tuttavia, qualcosa di ancora ignoto nella moltiplicazione tecnica dell’immersione, che risveglia preoccupazioni nuove: cosa succede al corpo nell’oceano digitale? Che cosa alla mente? E come si regolano i rapporti fra sé e altri nell’immersione? Vi è forse anche nell’immersione digitale, come in quella subacquea, il pericolo di perdersi? E quali punti di luce offrire, oggi, anche rivisitando le tradizioni etiche e religiose della storia, a chi s’immerga nei flutti di questo oceano digitale?

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THE IMMERSED MEANING: FREEDOM AND BEWILDEREMENTS OF THE DIGITAL BODY.

Immersion is an ancestral phenomenon, referring to the situation of a body removed from the intangibility of air and placed into a different, liquid dimension. The sensory perception of the surroundings then changes, the boundary between body and environment, which was latent, becomes manifest, and one begins to feel the boundary between oneself and the other than oneself. At the same time, the liquidity of the new context frees the body of some of its weight, from the yoke of gravity. The body floats, and in immersion one feels as a principle of fusion with the surrounding whole. Returning to an aquatic or amniotic origin, immersion has solicited the imagination of religions since ancient times. Central to some initiation or purification rites, it also becomes a bodily metaphor for fusion with transcendence. But immersion also refers, in its earliest lexicology, to everyday experiences of the body’s detachment from its usual context, of its merging into environments where the laws of movement, senses and perception change: one can be immersed in deep sleep, in one’s dreams, in one’s thoughts, in a hallucination. From equally immemorial times, the arts have sought to capture and guide this detachment of the body and its liquid reinvention, aiming at a fusion of the subjects with the illusion that is proposed and told to them. Immersive techniques and devices occur throughout the history of religions and the arts, often in the interweaving of one and the other, seeking a hypnotic point of fusion of the self with the whole, of the senses with the felt. Today, when people say “immersion”, they immediately think of virtual realities. Immersion, however, is an ancient thing, and is also rooted in the sense of religious cultures. The new technologies of the metaverse give new technical guise to this dream of liquid transformation of the surroundings, of breaking down the boundary between self and world, of lightness of the body, but at the same time they awaken ancient paths of meaning. There is, however, something still unknown in the technical multiplication of immersion, which awakens new concerns: what happens to the body in the digital ocean? What to the mind? And how do the relationships between self and others adjust in immersion? Is there perhaps also in digital diving, as in the underwater one, the danger of getting lost? And what points of light to offer, today, including revisiting the ethical and religious traditions of history, to those who dive into the billows of this digital ocean?

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FBK-ISR | IL SENSO IMMERSO: LIBERTÀ E SMARRIMENTI DEL CORPO DIGITALE